Ercole Graziani (Bologna 1688 – 1765), Lot e le figlie VENDUTO

Autore: ERCOLE GRAZIANI (Bologna 1688 – 1765)
Titolo: Lot e le figlie
Tecnica: Olio su tela
Dimensioni: 148 x 116 cm
Epoca: XVIII secolo
Restauri: stato di conservazione buono
Pubblicazioni: inedito
Bibliografia di riferimento: Daniele Benati ESPRESSIONI D’ARTE, dipinti emiliani dal XVI al XVIII secolo
Questo dipinto faceva parte di un ciclo di opere, realizzato da Ercole Graziani.

GRAZIANI, Ercole. – Nacque a Bologna il 14 ag. 1688 da umili genitori (Zanotti, II, p. 275). Rimasto orfano del padre in tenera età, fu alloggiato presso un parente perché apprendesse l’arte dell’oreficeria; ma avendo dimostrato propensione per il disegno e la pittura, all’età di undici anni tornò a casa della madre e stette per due anni a disegnare, di tanto in tanto aiutato da Ludovico Mattioli. Entrò poi in palazzo Fava, dove il conte Pietro Ercole, come già precedentemente il conte Alessandro, morto nel 1697 (Bonfait, 2000, p. 210), accoglieva gli artisti bolognesi che desideravano studiare e copiare i celebri affreschi dei Carracci o le opere della loro collezione.
In casa Fava il G. incontrò Donato Creti incominciando il suo discepolato. Zanotti (II, p. 310) racconta di una gara di emulazione in palazzo Fava fra Domenico Maria Fratta e il G. (Mazza, 1994, pp. 26-28, 34). Fondamentali furono quegli anni per la formazione del giovane G. che seppe, attraverso il mecenatismo del conte Fava e mediante l’apprendistato cretiano, risalire alle fonti di quella tradizione pittorica bolognese, particolarmente in auge presso quel circolo culturale: oltre i Carracci soprattutto la linea che va da Guido Reni a Simone Cantarini e da questo a Flaminio Torri e a Lorenzo Pasinelli (Roli, 1994-95, pp. 21-24).
Sempre Zanotti (II, p. 277) tra le prime opere del G. ricorda tre tele raffiguranti episodi della vita di s. Caterina de’ Vigri inviate “a Napoli per una cappella di non so qual chiesa” dove “Napoli” sta probabilmente per “Regno di Napoli”, perché tre dipinti con soggetti simili si trovano nella chiesa di S. Francesco a Chieti, e uno di essi, durante il restauro del 1978, rivelò la firma e la data 1714. Sono opere eseguite con una certa finezza ed eleganza, tipiche dei suoi migliori dipinti.
I quattro ovali con i Ss. Pietro, Paolo, Petronio e Zama (un quinto con “una nostra Donna” è andato disperso) nella sala capitolare di S. Pietro a Bologna sono segnalati da Zanotti (II, p. 277), tra le prime opere realizzate, non menzionate tuttavia nella guida di Bologna del 1732.
Roli (1977, p. 119) ne sottolinea l’accostamento a moduli reniani con tocchi luministici, specialmente nel S. Pietro, nella linea della tradizione Cantarini, Pasinelli, e Creti. A causa del loro aspetto “decisamente arcaicizzante”, Mazza (1997, pp. 118, 125 n. 38) ne ha dedotto che la loro datazione probabilmente dovrà essere collocata intorno al 1722, quando si conclusero i lavori di abbellimento relativi all’ambiente della destinazione originaria.

Sempre al primo periodo, quando più stringente è il rapporto con il suo maestro Creti, si è fatta risalire la bella ed elegante paletta con la Madonna, il Bambino, s. Irene e un angelo, nei Musées royaux d’art et d’histoire a Bruxelles, già attribuita a Pietro da Cortona (Roli, 1963, p. 173 n. 12 bis; Mazza, 1995, p. 39), che deriva in parte da un disegno di Creti nella collezione Koenig-Fachsenfeld di Stoccarda, a sua volta derivato da un disegno di Cantarini con l’Incoronazione di una santa (Firenze, Museo Horne). È stata rilevata inoltre la relazione tra la Madonna col Bambino e una santa della collezione Bordoni a Bologna (Roli, 1963, pp. 168 s.) e un disegno di Cantarini con la stessa iconografia a Rio de Janeiro (Biblioteca nacional), dove è stato rinvenuto anche un disegno del G. con un simile soggetto (Mazza, 1997, p. 392 n. 184). Nel Ratto di Proserpina e nel Ratto di Europa di collezione privata bolognese sono stati colti echi del Creti delle Storie di Achille o della Scena campestre (Bologna, Collezioni comunali d’arte e Pinacoteca nazionale: Roli, 1971, p. 82), interpretati con una dolce leggerezza di stampo arcadico. Un disegno in rapporto al Ratto di Europa è stato individuato sul mercato antiquario londinese (Vertova, 1984, p. 436; Roli, 1991, pp. 270-272).

Nel marzo 1727 il G. fu ascritto all’Accademia Clementina. A quest’epoca risale l’Ascensione nella Pinacoteca di Cento, “quadro molto bello in ogni sua parte, […] di cui scritto fu con gran ragione esser’egli opera di uno dei nostri più degni maestri”, ricordato da Zanotti (II, p. 278) nell’oratorio della Compagnia della Purità.

Per questo dipinto è stata segnalata una ricevuta del 30 apr. 1728, ritrovata nella Biblioteca Estense a Modena (comunicazione di Miller a Roli, 1971, p. 80). Non distanti dall’Ascensione sono stati collocati il Loth e le figlie e il pendant con Susanna e i vecchioni nella Pinacoteca di Bologna (Roli, 1963, p. 168), “dipinti allineati con la strenua idealizzazione formale del Creti” (Id., 1977, p. 119). Della Susanna è stata pubblicata una versione con alcune varianti (Mazza, 1995).

La morte di s. Francesco Regis, ora nella chiesa della Pietà a Bologna, proveniente da S. Ignazio, lì citata da Zanotti (II, p. 279), è menzionata dalla guida di Bologna del 1732 (Roli, 1963, p. 169).

Bonfait (2000, pp. 339, 450 doc. 7) riporta la commessa al G. da parte del rettore del seminario di S. Ignazio Giuseppe Foccaci, del 26 luglio 1731, di una tela con l’immagine di tre santi voluti dal rettore, conforme all’idea concertata tra di loro. Destinata a una cappella laterale della nuova chiesa, l’opera era da consegnare entro un anno in modo da poter essere esposta nella cappella per la festa di S. Ignazio. Probabilmente si tratta della stessa tela citata dalla guida di Bologna e da Zanotti.

Ad anni immediatamente successivi Roli (1971, p. 82) assegna le due tele con Ester che sviene davanti ad Assuero e con Giuditta e Oloferne, già in S. Marta, adesso nell’Opera pia dei poveri vergognosi identificate con quelle eseguite per la famiglia Scarani (Roli, 1981, pp. 47 s.; Masini, 1995, pp. 247 s.) che costituivano una serie con altre due tele raffiguranti Mosè che scaccia i pastori e aiuta le fanciulle madianite e Rachele che riceve i doni da Eleazar, citate da Zanotti (II, p. 278), elencate anche da Oretti (p. 118), che menziona un quinto dipinto con Cristo e la Samaritana al pozzo.

Roli ha rintracciato il disegno preparatorio per il quadro con Ester e Assuero, presso il Gabinetto dei disegni e delle stampe della Pinacoteca di Brera, derivante a sua volta dallo Svenimento di Giulia, moglie di Pompeo (Bologna, Pinacoteca nazionale), celebre dipinto di Pasinelli (Roli, 1981, pp. 47 s., n. 78), che per lungo tempo dovette rimanere un modello di studio per i pittori bolognesi (Mazza – Pasinelli, p. 502). È stata anche istituita una relazione fra i due dipinti del G. e le due tele con Storie di Salomone di Creti nel Musée des beaux-arts di Clermont-Ferrand, eseguite per il cardinale T. Ruffo entro il 1727 (Roli, 1971, p. 84). Proprio Zanotti subito dopo l’elencazione dei quattro dipinti Scarani informa del continuo e assiduo studio dell’artista: “Io qui non do per brevità a ciascun quadro di questo valente pittore le debite laudi, ma si sappia, che sempre è andato di bene in meglio, a cagione della molta attività sua nell’arte, e del continuo studio, e della diligenza, ch’egli vi adopera”.

Un altro dipinto di cui ci sono pervenuti disegni preparatori è quello nella chiesa di S. Pietro a Piacenza con i Ss. Pietro e Paolo “quando gli divisero l’un dall’altro per andare al martirio” (Zanotti, II, p. 280). Un disegno preparatorio è conservato a Stoccarda (Thiem, 1983, pp. 130-132), un altro è segnalato nella Galleria Rizzi di Sestri Levante (Mazza, 1997, p. 125 n. 27). Il Martirio dei ss. Giorgio e Alessandra commissionato dal cardinale Ruffo (Zanotti, II, p. 280), fu posto nella cattedrale di Ferrara il 22 ag. 1635, secondo una notizia contenuta nel manoscritto di G.A. Scalabrini, Annali delle chiese di Ferrara, presso la Biblioteca comunale di Ferrara, in diretta concorrenza con la pala di F. Torelli con il Martirio di s. Maurelio (Roli, 1963, p. 169). Un quadro “molto ragguardevole per la invenzione, e per la disposizione, ed ha un buon disegno, e colorito, e certa eleganza di dipignere” (Zanotti, II, p. 280).

In esso un senso spiccato del monumentale e un certo gusto luministico si sposano in una sintesi equilibrata e senza eccessi (Roli, 1991, pp. 264-267). Un disegno preparatorio è nella National Gallery di Edimburgo (Id., 1963, p. 169); un altro è a Madrid, Museo del Prado (Mena Marqués, 1990, p. 88). Nel disegno di Edimburgo viene elaborata una prima versione del soggetto non rispettata nella stesura finale, cui maggiormente si accosta il disegno madrileno. Il disegno di Edimburgo secondo Roli (1963, p. 170) chiama a confronto il quadro con il Figliol prodigo della collezione Grimaldi a Cento, dipinto “con una verve quasi insospettabile”. Sempre Roli segnala un disegno con il Figliol prodigo a Firenze nel Gabinetto dei disegni e delle stampe (inv. 15740) a sottolineare un tema abbastanza caro all’artista e ai suoi committenti. Si sa di una serie di “quattro ovati[…] con la Vita del figliol Prodigo” che il G. dipinse per la famiglia Michelini (Crespi, p. 276).

Sempre a Ferrara nella curia vescovile, vi è un David e Abigail, dipinto a pendant con un quadro di F. Monti probabilmente commissionato dal cardinale Ruffo (Roli, 1977, p. 119), che si distingue per una stesura pittorica particolarmente spigliata e disinvolta. La Morte della s. Giuliana Falconieri (Bologna, chiesa dei servi) fu eseguita nel 1737 in occasione della canonizzazione il 6 giugno di quell’anno. Sempre per S. Maria dei Servi eseguì più tardi l’Estasi del beato Gioacchino Piccolomini particolarmente lodata da Cochin e citata nella guida di Bologna del 1755 (cfr. Roli, 1963, p. 173 n. 18). Alla vigilia di Natale del 1738 in S. Pietro a Bologna (Mazza, 1997, p. 115) furono scoperti due altari, vicini al presbiterio, uno con il dipinto di Giuseppe Marchesi e l’altro, di fronte, con un dipinto del G. raffigurante S. Pietro che consacra vescovo Apollinare, il cui modello è nella Pinacoteca nazionale di Bologna.

Il committente era l’arcivescovo Prospero Lambertini, che aveva potuto vedere la pala quasi compiuta nella bottega del G. e sulla quale espresse lodi per la molteplicità delle espressioni e delle attitudini dei vari personaggi (Zanotti, II, p. 281). Opera importante, che si è ritenuta eseguita nel 1737 (Roli, 1971, pp. 84, 86, n. 26), dove pure è dato intravedere un certo gusto naturalistico proprio di quella tradizione che ha le radici nei Carracci, alleggerito da un tocco delicato memore della lezione di Pasinelli (Mazza, 1997, p. 115). La pala di S. Pietro riscosse notevole successo, suscitando l’invidia di Creti, come annota sempre Zanotti (Ottani Cavina – Roli, p. 146), ma procurando al G. tutta una serie di commissioni che egli stesso non sapeva come soddisfare. Di certo il contemperamento tra decoro e verosimiglianza, unito a una vena lirico-intimista, contribuì decisamente all’affermazione del G. dentro e fuori Bologna. L’opera fu fatta replicare dallo stesso Lambertini, divenuto papa nel 1740 con il nome di Benedetto XIV. La commissione fu affidata al G. dopo l’interruzione dei suoi contatti con Creti. Il quadro fu inviato a Roma nel 1745. Il Cracas segnalava al 2 apr. 1746 la tela nell’appartamento dei Principi nel palazzo pontificio a Montecavallo. La tela soltanto nel novembre 1747 fu trasportata e collocata in S. Apollinare.

Il successo spinse il papa a richiedere al G. l’esecuzione delle teste dei dodici apostoli in dodici quadri da testa e a invitarlo a soggiornare in Roma, ma il G. preferì rimanere nella sua città.

La tela con S. Pellegrino Laziosi, dipinta per i servi di Maria di Faenza, oggi nell’arcivescovato, fu commissionata per 80 scudi dal padre maestro Giacomo Giuliani che la portò da Bologna il 27 nov. 1739.

Venne esposta il 23 ag. 1741, festa del santo, e sembra derivare da un dipinto di Cantarini eseguito verso il 1639 per i servi di Maria di Forlì (Mazzotti-Corvara, 1975, pp. 43, 154 s.). L’iconografia del quadro faentino verrà ripetuta con alcune sostanziali varianti nel più tardo S. Pellegrino Laziosi in S. Martino di Senigallia che risale al 1745 (Mencucci, 1994, I, p. 867); il relativo bozzetto è stato rinvenuto in una collezione privata (Mazza, 1995, p. 40).

Nel 1745 il G. firmò e datò la pala in S. Paolo di Casale Monferrato, raffigurante S. Carlo Borromeo che consegna il decreto di nomina a vescovo al beato Alessandro Sarli (Gabrielli, 1935, pp. 98 s.). Alla fine del quarto decennio sono documentati i contatti con i carmelitani di Medicina, per i quali eseguì i quadri con S. Simone Stock (1739) e S. Pietro Toma ricevendone la somma di 200 scudi (Samoggia, 1983, pp. 167-169).

Nella teletta della sacrestia di S. Giovanni in Monte a Bologna con l’Immacolata e tre santi, datata a tergo 1740, Roli scorge suggestioni cretiane e canteriniane (1977, p. 138 n. 117). La Comunità di Medicina il 12 giugno 1740 stipulò un contratto con il G. “per fare un quadro di pittura sgavellato d’altezza piedi dodici e di larghezza piedi otto”, raffigurante la Beata Vergine con i ss. Pietro, Paolo, Mamolo [Mamante] e Lucia, e di compierlo entro due anni per una spesa di 1300 lire. Il contratto prevedeva che, una volta terminata, l’opera fosse esposta al pubblico in Bologna.

Il 23 ag. 1742 la tela fu esposta nella chiesa bolognese di S. Maria dei Servi e fu giudicata uno dei suoi migliori lavori (Samoggia, 1984). Il dipinto firmato e datato 1742 denota “un colorismo sostanzioso e di bella macchia” (Roli, 1991, p. 268). Un disegno preparatorio è conservato a Filadelfia, Museum of Art (Cazort – Johnston, p. 137). Il bozzetto è custodito nella canonica. Che il credito dell’arte del G. fosse in crescita lo dimostra una lettera del padre Paolo Salani, abate del monastero olivetano di S. Michele in Bosco, del 23 sett. 1742 da Bologna a Carlo Vincenzo Ferrero, marchese d’Ormea, gran cancelliere di Carlo Emanuele III, in cui il Salani suggerisce a questo il nome del G., già maturo maestro, per eseguire un dipinto, al posto di Creti, troppo indaffarato e angustiato (Frati).

Agli anni Quaranta sono state riferite alcune opere quali la Giuditta del Museo nazionale di Varsavia, o l’Incoronazione di Carlo V, Bologna, palazzo comunale, toccate da una tendenza accademizzante i cui prodromi erano già manifesti nella Morte della s. Giuliana Falconieri.

Il S. Mauro che guarisce gli infermi, Bologna, S. Proclo (Roli, 1963, p. 174 n. 24), è caratterizzato da un senso di semplice, quasi umile compostezza. A quest’opera sono stati ricollegati Giuseppe che spiega i sogni, collezione Molinari Pradelli e l’Immacolata, collezione Casarini (Roli, 1977, p. 120). Il dipinto Molinari Pradelli si appoggia per la composizione a un disegno di Creti nel Gabinetto dei disegni e delle Stampe agli Uffizi (n. 63177), anche se il G. “svolge l’estrosa composizione in andamenti di prevedibile ed aggiustata simmetria” (Biagi Maino, 1984, p. 108).

Verso la fine del quinto decennio (1748) si colloca l’altra pala per S. Pietro a Bologna con il Battesimo di Gesù, come attesta Zanotti in una postilla al suo testo (Roli, 1963, pp. 171, 173 s., n. 19).

La pala era stata commissionata al G. il 10 marzo 1745 da Benedetto XIV, che il 24 febbr. 1751, a esecuzione avvenuta, volle vederne il disegno. Nel Battesimo il G. concretizzava la sua visione della pittura riannodando il filo della tradizione bolognese, assiduamente studiata, con gli ideali classicistici dell’Accademia Clementina. Un modelletto della parte bassa del dipinto, in cui si propongono soluzioni non adottate nella stesura definitiva, è in deposito presso la Pinacoteca nazionale di Bologna. Il G. produsse in seguito altri dipinti per S. Pietro, ora dispersi: un ovale con S. Antonio da Padova nella cripta e la tela nella cappella Ariosti con S. Anna, la giovane Maria ed il Padre Eterno in gloria, citati per la prima volta nella guida di Bologna del 1766.

Il G. dipinse per i certosini di S. Gerolamo a Bologna la pala con il Beato Niccolò Albergati che appare a Tommaso Parentucelli per predirgli il pontificato, tradotta in incisione da C.A. Pisani su disegno di G.L. Viterbi, recante la data 1745 (Biagi Maino, 1998, pp. 330, 342). Nel 1749 la tela con il Beato Canetoli che rifiuta l’arcivescovato (S. Salvatore, Bologna), fu esposta al pubblico e nello stesso anno fu celebrata in un sonetto di Gioseffo Canossa (Roli, 1963, p. 174 n. 22). Il bozzetto è stato rintracciato presso una collezione privata (Vertova, 1984, p. 434). Un’altra commessa gli giunse da Roma: Benedetto XIV impose ai certosini di S. Maria degli Angeli il soggetto della pala e il nome del pittore (lettera del 13 luglio 1746) con l’impegno che fosse inviata prima dell’anno santo.

La tela raffigurante il Miracolo dei pani, compiuto dal beato Niccolò Albergati, adorna l’altare della cappella. Il bozzetto del quadro romano era conservato in S. Girolamo della Certosa a Bologna (Brogi, p. 71, n. 69). Una replica del Miracolo dei pani è presente nell’inventario di Paolo Magnani (Bonfait, 2000, pp. 122 s., n. 41).

Al 1750 è riferito il S. Giuseppe da Leonessa, Bologna, S. Giuseppe (Roli, 1977, p. 270). È ricordata come eseguita nel 1752 la Madonna e santi in S. Bernardino a Rimini (Pasini, 1972, p. 120). Nella Madonna in gloria e santi (Bologna, S. Proclo) si è riscontrato che la maniera del G. perde vivacità cristallizzandosi in forme un po’ convenzionali, come in altri dipinti, quali la Madonna e santi dell’Opera pia Pallotta o la Sacra Famiglia del convento di S. Francesco sempre a Bologna (Roli, 1977, p. 120).

Le opere degli ultimi anni accrebbero il prestigio del G. presso i suoi colleghi e le nuove generazioni; e non a caso Ubaldo Gandolfi alla morte di Torelli sceglierà di condurre l’apprendistato presso il G. (Biagi Maino, 1998, p. 331).

Il 22 ott. 1727 il G. fu eletto direttore dell’Accademia Clementina, insieme con Creti e con altri pittori; e il 3 nov. 1730 ne divenne principe. Il G. fu ancora direttore negli anni 1733, 1735, 1741, 1746, 1762, 1764, e di nuovo eletto principe il 20 ott. 1751 (Farneti). Crespi (p. 278) riferisce che prese in moglie Teresa Fontana, dalla quale non ebbe figli e che morì a Bologna il 27 nov. 1761 e fu sepolta nella sua parrocchia di S. Maria Maggiore. Tra i discepoli del G. Roli (1977, pp. 120 s.) ricorda Carlo Bianconi che sarà tra l’altro autore della guida di Bologna del 1766. Negli anni 1763-65 il G. ricevette semestralmente denaro da Valerio Boschi per impartire lezioni di disegno al giovane Gaetano Vascellani (Bonfait, 2000, p. 199).

Il G. morì a Bologna il 17 dic. 1765.

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