Charles Dauphin (Nancy 1615/20 – Torino 1677), Allegoria

Autore: CHARLES DAUPHIN (Nancy 1615/20 – Torino 1677)
Titolo: Allegoria
Tecnica: Olio su tela
Dimensioni: 170 x 185,5 cm
Epoca: prima metà XVII secolo
Restauri: stato di conservazione buono
Provenienza: Roma
Conferma attributiva: Prof. Alberto Cottino

Prof. Alberto Cottino
Storico dell’arte
Torino

Questo bellissimo dipinto, di qualità altissima e finora inedito, raffigura un tema allegorico, colto e tipico del pensiero simbolico seicentesco: un’allegoria del tempo che vede protagonista Chronos alato con la falce che tenta di avvicinarsi a una giovane e avvenente fanciulla (Venere?), mentre un gruppo di putti alati, verosimilmente amorini, tenta -c’è da crederlo, inutilmente- di fermarlo. Il tempo infatti cancella la bellezza, e non ci può essere rimedio. Il tema della Vanitas (di origine biblica, tratto dall’Ecclesiaste) era profondamente sentito nella società del Seicento, e rientrava in un ampio dibattito cui partecipavano artisti, letterati, religiosi fin dal Medioevo (basti pensare a Dante nel canto XI del Purgatorio e alla sua esemplare riflessione sulla caducità della fama terrena, presto condannata all’oblio). Nel Seicento esso fu molto trattato dai pittori di natura morta sia italiani che fiamminghi -che lo legavano all’essenza effimera dei fiori e dei frutti recisi- ma anche da pittori di figura, come in questo caso, e poeti tra cui Shakespeare e Luis de Gòngora (basti pensare alla sua celebre lirica A una rosa: “… Se ti ingannò la tua bellezza vana, rapidamente la vedrai svanita…”, che illustra un tema molto simile a quello narrato in questo quadro). Si tratta quindi di una questione centrale nel pensiero seicentesco, qui sviluppata attingendo all’inesauribile repertorio di immagini del mondo classico, tipico di un’epoca in cui la cultura umanistica e la fascinazione per la civiltà antica erano fondamentali.
Per ragioni stilistiche e attributive il dipinto si deve assegnare alla mano del pittore francese, attivo lungamente a Torino come artista di corte, Charles Dauphin: i confronti con le sue opere note sono talmente evidenti da non lasciare adito a dubbi; tra i tanti esempi possibili mi pare che quello con Cerere, o la dea dell’estate, attualmente esposto alla Venaria Reale sia tra i più probanti: si confronti il profilo della fanciulla nel quadro qui studiato con quello della dea delle messi, pressoché identico, così come la morfologia dei putti e la stessa gamma cromatica utilizzata nell’opera, calda e basata sui rossi e su un’ampia gamma di ocra, che possono configurare anche una simile collocazione cronologica.

Il pittore appare qui pienamente inserito all’interno della corrente classicista di stampo francese (basti notare il profilo della fanciulla, che si ispira alle antiche statue romane, in particolare a quelle delle divinità fluviali), strettamente legata a Vouet ma anche a Nicolas Poussin, che unisce tuttavia ad una teatralità tipicamente barocca e italianizzante evidenziata dall’ampio gesto di Chronos e dalla concitata rotazione degli amorini che tentano di fermarlo.

Il dipinto qui studiato proviene dalla nota collezione romana di una contessa piemontese, Amalia Canonica Capello, amica e fidata collaboratrice di Laetitia di Savoia Bonaparte duchessa d’Aosta, traferitasi nella capitale poco tempo avanti la Prima guerra mondiale al seguito del marito Maggiorino Capello, ambasciatore del Principato di Monaco presso la Santa Sede. Trasferendosi a Roma la contessa dismise la sua residenza ubicata a Torino nel quartiere periferico di Pozzo Strada (si trattava di due antiche cascine che nell’Ottocento erano appartenute al marchese Lorenzo Dufour e perciò denominate “’l Marchèis gros” e “’l Marchèis cit), residenza sontuosamente arredata con dipinti, mobili e grandi tappeti, secondo il tipico gusto sovrabbondante fin de siècle: molti di essi -compresa evidentemente questa tela di Dauphin- furono portati nella sua nuova dimora, il villino in piazza Galeno a Roma. Al momento non è chiaro quando la contessa Canonica acquisì le cascine e se insieme ad esse avesse acquistato anche parte degli arredi: questa comunque potrebbe essere una traccia per la ricostruzione della storia del quadro.
La contessa, trasferendosi a Roma, cedette la proprietà in prestito al diplomatico britannico Sir Walter Becker che riqualificò la struttura come ospedale britannico per curare i soldati inglesi feriti durante la campagna del Sinai contro i turchi. Il sito purtroppo oggi non esiste più: al posto delle due cascine e dell’ospedale negli anni 70 del ‘900 venne costruita la scuola elementare Fattori 1 .

1 Si veda A. Parodi, L’ospedale britannico di Torino, storia di un luogo scomparso, in La Stampa, 18 agosto 2018.

Charles Dauphin studiò a Parigi nella bottega di Simon Vouet negli anni ‘40, da cui riprende lo stile ‘romano’ e classico e di cui si può considerare un vero e proprio erede di primissimo piano. Dopo la morte del maestro (30 giugno 1649) si recò in Italia, non sappiamo se per qualche tempo a Roma (soggiorno che è comunque probabile, ancorché giocoforza breve, per la percepibile componente italianizzante (emiliana) che caratterizza le sue opere) per approdare a Torino, dove nel 1652 era già Priore della Compagnia di San Luca: a Torino visse e lavorò oltre venticinque anni come pittore del principe di Carignano (già nel 1658 Emanuele Filiberto principe di Carignano lo nominava “Aiutante della nostra Camera”) andando a vivere a Bardassano in una cascina (“Monseigneur. Je me suis engagé à l’achat d’une cassine à Baldassan…”, lettera del luglio 1670, pubblicata in Schede Vesme, 2, 1966, p. 397: la cascina fu venduta dai familiari intorno al 1686) fino alla morte avvenuta nel 1678.

Torino, 20 ottobre 2021

Alberto Cottino